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IL PROFESSORE. RICORDI DI GIOVENTÙ.


di RedTales
19.06.2023    |    15.272    |    11 8.9
"” Le dita iniziarono a far scorrere la pelle su e giù mentre mi lanciò un’altra frase pesante: “da quanto è che prendi cazzi?” Fu a quel punto che mi scossi,..."
PREMESSA
Tutto quello che descrivo nel racconto accadde tanti anni fa e posso narrarlo soltanto perché gran parte di quello che ho messo nero su bianco lo ho letto nel mio diario segreto. Un quaderno che ho iniziato a scrivere quando ero ancora un ragazzo e dove “raccontavo” quanto facevo, come per confidarmi, visto che non lo potevo fare con nessuno, e per tratteggiare in modo indelebile le esperienze che entravano nella mia vita.
A volte ero stringato e scarabocchiavo solo poche frasi, giusto l’essenziale per ricordare quanto avevo vissuto, altre articolavo intere pagine ricche di descrizioni puntigliose, sentimenti provati, aspettative, suoni, odori... Ed è da uno di questi brani che prendo spunto per scrivere questo racconto. Facendolo mi sembra di rivivere quei momenti, anche se non in modo dettagliato, nonostante li ritrovi minuziosamente appuntati sulle pagine ingiallite del diario.
Ad essere sincero, molte delle cose che rileggo… nemmeno le ricordo più. Che strani scherzi fa la memoria. Alcune vicende o certi episodi sono sempre nitidi e ben presenti, altri spariscono e, pur ritrovandoli scritti di mio pugno, faccio fatica a metterli a fuoco.
Quando mi confidavo su questa agenda lo facevo solo per me, ma da qualche anno la sto usando per trasformare le mie intime e segrete confessioni in queste pagine… da condividere con tutti voi. Non so perché ho deciso di mettermi a nudo e rendere partecipi degli sconosciuti a questi momenti inconfessabili della mia vita. Ci ho pensato molto ma nessuna delle possibili risposte che mi sono dato mi ha pienamente convinto...


All’inizio dell’aprile 1979 mia madre mi portò da un anziano professore perché, avvicinandosi la fine dell’anno scolastico, secondo lei, dovevo recuperare l’insufficienza di matematica.
Ci aprì la porta una signora avanti con gli anni, la moglie dell’insegnate, che ci fece accomodare in un salottino. Poco dopo uscì una ragazza seguita dal docente che ci fece accomodare nello studio.
Mi apparve subito “vecchio” anche per il modo di vestire: giacca, cravatta e scarpe lucide...
Volle sentire come era la situazione e poi disse a mia madre di tornare tra un’ora perché voleva rendersi conto di persona delle mie difficoltà.
Mi fece accomodare su una sedia a fianco della sua, imponente e con i braccioli, e si accertò della classe che frequentavo e quindi, con un fitto “interrogatorio”, delle mie lacune.
Alla fine sentenziò che: “è possibile recuperare anche se non c’è molto tempo.”
A quel punto iniziò subito ad affrontare un argomento chiedendomi un sacco di cose ma ciò che mi colpì fu la sua mano sinistra con la quale iniziò ad accarezzarsi… il pacco.
Essendo seduto al suo fianco destro non potevo non notare le dita che accarezzavano e palpavano proprio lì e pensai subito che era “un tipo strano”.
Cercai di rispondere alle sue domande guardandolo in faccia ma gli occhi continuavano a scendere su quei movimenti finchè mi chiese perché fossi così distratto.
Riporto quanto trovo scritto nel diario: “sei qui per fare matematica o per guardarmi mentre mi tocco? Ho un pene come tutti gli uomini. Immagino che ce l’hai anche tu… quindi smetti di guardarmi tra le gambe e stai attento.”
Mi prese alla sprovvista e, non sapendo cosa rispondere, feci di sì con la testa pur continuando a pensare che fosse davvero strano.
Cercai di non fissarlo proprio lì ma quando mi accorsi che aveva aperto la lampo e preso in mano il suo affare, non ce la feci, mettendomi a sbirciare ma sperando di non essere visto.
Era già eretto e le dita lo stringevano scorrendoci sopra. Inutile ricordare che a quel tempo di cazzi ne avevo già visti parecchi e ci avevo giocato facendoci un po’ di tutto, ma una situazione come quella per me era nuova e… non sapevo proprio come comportarmi.
Mi passarono tanti pensieri per la mente al punto che quasi mi estraniai sentendo come ovattate le sue parole fin quando non alzò la voce per richiamare la mia attenzione.
Alzai gli occhi mentre pronunciò: “ma quanto ti piace il cazzo?”
Restai spiazzato soprattutto perché intesi quella domanda come un’affermazione ma mi dissi subito che non poteva assolutamente saperlo, come non poteva conoscere tutte le cose che da qualche anno stavo facendo con altri maschietti più o meno giovani.
Riporto questa frase che scrissi allora: “tira ad indovinare. Non può che essere così. Non può sapere cosa faccio. Anche se conosce qualcuno con cui sono stato ho sempre detto di chiamarmi Gianni, non può sapere chi sono. E poi non lo ho mai visto…”
La situazione divenne ancor più critica quando, si alzò in piedi sbattendomi davanti al viso il suo sesso: “lo so che ti piace. Non fai altro che guardarlo. Di un vecchio come me non lo hai mai visto, vero? Mi tira ancora, vedi?”
Rimasi come bloccato non sapendo assolutamente cosa fare. Ebbi anche l’idea di alzarmi ed andarmene ma poi pensai a mia madre che non avrebbe creduto ad una sola parola e quindi rimasi fermo. Ricordo che era il 1979, altri tempi. Tutto era molto più nell’ombra rispetto ad oggi e di certe cose nemmeno si parlava molto.
“Lo vuoi, vero? Si capisce che lo vuoi. Non gli stacchi gli occhi di dosso.”
Ed era vero perché fissavo il suo cazzo che attirava il mio sguardo come se fosse magnetico anche se scrivo nel diario: “non era niente di speciale. Ne ho visti di più grossi, più lunghi e più pelosi e la cappella non è neanche tanto larga”
Probabilmente mi disse altro ma la sua voce divenne ovattata e persa nella stanza fin quando non sentii questa bordata di parole: “lo vuoi toccare? Prendilo, prendilo in mano.” che mi fecero ritornare lì con lui e, inspiegabilmente allungai la mano per stringere tra le dita il suo sesso.
“Lo vedi che lo vuoi. Ho l’occhio clinico. So riconoscere da lontano chi cerca il cazzo.”
Le dita iniziarono a far scorrere la pelle su e giù mentre mi lanciò un’altra frase pesante: “da quanto è che prendi cazzi?”
Fu a quel punto che mi scossi, tolsi la mano, raddrizzai la schiena e con fare stizzito quasi gridai: “no! Non li prendo!”
Non so perché ma ebbi l’impressione di essermi in qualche modo tradito perché lui continuò: “dieci, di più? Anche maturi, vero? Ma ancora nessun vecchio come me.”
Pronunciai ancora un no, ma la voce mi tremò.
“E ormai fai tutto, vero? Bocca e culo e… chissà cos’altro. Voi giovani siete così disinvolti oggigiorno…”
Da quanto diceva sembrava mi conoscesse bene e sapesse esattamente cosa facevo anche se avevo sempre cercato di tenerlo assolutamente segreto.
Mi venne in mente ancora una volta che stesse solo improvvisando ma, e non so proprio come, alla fine gli chiesi: “ma come fai a saperlo?”
A quel punto si tolse l’espressione seria e accigliata e al tempo stesso autorevole mentre un altro flash mi balzò in mente: “forse gli ha detto di fare questo la mamma. Forse ha qualche sospetto e voleva accertarsi…” In un attimo mi misi a cercare nella memoria se c’era stata qualche situazione che poteva aver dato adito a dei sospetti e, forse senza nemmeno accorgermene, borbottai un: “è la mamma che lo vuole sapere?”
Il professore mi interruppe prontamente: “lasciamo stare la mamma. Questo è un segreto nostro. La mamma non c’entra nulla. A meno che non vuoi che glielo dica…”
“No, no, per favore!”
A quel punto mi sollevò il viso mettendomi una mano sotto il mento e mi fissò in modo severo: adesso che sappiamo che sarà un segreto puoi anche spogliarti. Ti piace farti vedere nudo, vero?”
Restai ancor più allibito, sia per la richiesta sia perché… quanto aveva detto corrispondeva proprio alla verità. Allora ero giovane, avevo diciassette anni e non sapevo che quella era un’ovvietà…
Mi alzai e, chissà perché, mi venne in mente la sua signora: “sua moglie è di la. E se entra?”
Mi liquidò e tranquillizzò con un: “non ti preoccupare, è abituata a non interrompere mai una lezione…”
A quel punto cedetti alla sua richiesta e mi tolsi la felpa, la camicia, le scarpe e i jeans.
“Ti sembra di essere nudo? Via anche maglietta e slip.”
Senza smettere di fissarlo negli occhi lo accontentai ma… non andava ancora bene perché mi ricordò che indossavo ancora le calze.
Pensai anche a quelle e un attimo dopo ero completamente spogliato. Mi guardò con attenzione ma la sua espressione, a differenza di quella di alcuni uomini maturi che mi avevano già visto nudo, rimase quasi impassibile.
Forte della mia nudità e forse un po’ stizzito dalla mancanza di mimica del suo volto feci due passi verso di lui e allungai la mano per impossessarmi del suo pene che era ancora eretto.
Mi fermò: “non ho voglia di una sega, ma di un bocchino. Ti scopo in bocca.”
Lo guardai abbozzando una specie di sorriso. Chissà perché immaginai che voleva provocarmi ma senza sapere che di servizietti orali ne avevo fatti davvero tanti…
“Siediti lì” disse indicando un basso sgabello addossato alla parete.
“Allunga le gambe, dritte e appoggia la schiena al muro.”
Sul diario scrissi quello che pensai allora: “adesso faccio vedere a questo stronzo cosa so fare. Neanche se lo immagina che di cazzi in bocca ne ho presi tanti e di tutti i tipi e che mi può anche sborrare dentro che ci sono abituato. La sorpresa gliela faccio io” e conclusi con un: “cazzo! Che freddo il muro” per sottolineare quanto la parete fosse gelida.
Quando me lo trovai davanti misi a fuoco che quello sgabellino era della misura giusta perché il suo cazzo fosse esattamente all’altezza della mia bocca.
“Apri.”
Con due dita piegò in avanti il membro in modo che fosse perfettamente orizzontale e, dopo averlo spinto tra le labbra mi afferrò i lati della testa con le mani e mi spinse indietro fino a farmela appoggiare al muro e… iniziò a spingere.
Il cazzo scivolò dritto dritto fino in gola e quando fu tutto dentro si fermò per qualche istante e quindi iniziò a muovere il bacino.
Prima piano, poi sempre più velocemente, appoggiandomi ad ogni affondo la cerniera della patta contro le labbra.
Dopo alcune spinte profonde iniziai ad avere un po’ di nausea ma, pur provando a liberarmi da quella presa, mi resi conto di non riuscirci. Le mani stringevano forte e dietro… c’era il muro. Incurante dei miei mugolii e della saliva mista alle lacrime che iniziarono a colare continuò per un tempo che non seppi quantificare finché non mi ritrovai la sua calda sbobba in fondo alla gola.
Solo allora si fermò pur rimanendo completamente conficcato nella mia bocca.
Sul diario descrivo questi momenti così: “quel bastardo mi ha bloccato e ha fatto i suoi porci comodi. Mi ha scopato in bocca come se fosse il culo. Nessuno mi aveva mai scopato così. In bocca ho sempre fatto altro. Bastardo! Ho sputato, vomitato, pianto, ruttato ma lui ha continuato. Potevo soffocare e quello stronzo continuava. Che stronzo! Lo odio. Col cazzo che ci torno a lezione da quello stronzo. Piuttosto lo dico alla mamma..”
Frasi dure, incazzate. Tipiche di un ragazzo che si è sentito usato ed impotente di fronte alla forza dell’altro. Ho subito anche se oggi, a distanza di così tanti anni, non ho che un ricordo sbiadito dell’accaduto e perfino mi sorprende di leggere quanto scrissi.
Quando uscì dalla bocca mi accorsi di avere il mento e il petto ricoperti di saliva, lacrime e forse sperma. Ne ero praticamente imbrattato.
“Vai a lavarti. Lì c’è un bagno” mi disse indicando un’altra porta dello studio.
Trovai un bagnetto e, guardandomi allo specchio, mi vidi sconvolto: il viso stravolto, gli occhi lucidi, il naso ricoperto di moccoli e il petto imbrattato di umori vari.
Mi sciacquai con attenzione e dopo una manciata di minuti, quando rientrai nello studio, non mi ero ancora ripreso del tutto.
Il professore mi guardò e: “vestiti, riprendiamo la lezione.”
Lo feci in fretta.
Non disse una parola su quanto avevamo fatto e non si toccò più. Parlammo solo di matematica.
Quando arrivò mia madre la accolse cordialmente, come se non fosse successo nulla mentre io rimasi quasi muto, timoroso che potesse succeder qualcosa, non immaginavo cosa, ma avevo solo una generica paura…
Le disse che le mie lacune non erano gravi e che sicuramente le avrei recuperate ma che servivano due ore di lezione alla settimana.
Ovviamente me ne rimasi zitto per tutto il tempo, lasciando che gli adulti decidessero e solo a casa provai a dire a mamma che forse le lezioni non mi servivano e che mi sarei messo a studiare di più.
Fu tutto inutile e per due mesi dovetti andare a casa di quell’uomo dove, ogni volta, ogni singola volta, all’inizio della lezione mi spogliai, mi sedetti sullo sgabello, accolsi il suo cazzo tra le labbra e mi scopò in bocca.
Fece la stessa cosa esattamente uguale lezione dopo lezione. L’unica differenza fu che imparai a lasciarlo fare, arrivando alla fine con un sempre minor senso di fastidio. Le lacrime, la saliva, gli sputi e i moccoli continuarono a ricoprimi alla fine della scopata, ma in quantità assai minore della prima volta. Ed anche il mio aspetto non risultò così stravolto ma solo un po’ scombussolato.
In matematica fui promosso senza essere rimandato e, finite le lezioni, non rividi mai più quell’uomo.
Sul mio diario segreto scrissi diverse pagine per raccontare la prima lezione, mezza per la seconda e poi, per tutte le altre, appuntai solo queste frasi, quasi sempre uguali: “anche oggi sono andato dal prof. Bertarsello e mi ha scopato in bocca. Mi fa spogliare sempre ma non mi guarda neanche e lui tira fuori dai pantaloni solo l’uccello. Cazzo quanto gli piace scoparmi in bocca. A me non piace come lo fa ma lo lascio fare. Magari un’altra volta mi piacerà.”
Rileggendo oggi queste ultime frasi sembra quasi di vedere un… sogno profetico, considerando quanto adesso mi faccia godere il sentirmi “a disposizione” o, come dicevo allora: “il lasciarlo fare”. Forse il “seme” dello slave era già stato seminato allora ma non lo sapevo perché non vedevo ancora spuntare le foglioline...
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