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Christine: Dubai


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
12.07.2025    |    240    |    2 9.3
"Il suo orgasmo esplose dentro di me, caldo e liquido, spingendomi a un climax che mi fece urlare, il corpo che tremava sotto le luci viola..."
Quella sera il mio cuore batteva forte, non solo per l’eccitazione, ma per il brivido di ciò che mi aspettava. Pino, un imprenditore toscano di 65 anni, ormai in pensione, aveva guidato 300 chilometri da Massa per venire a prendermi. Trecento chilometri. Non riuscivo a smettere di pensarci, un uomo che aveva costruito un impero con le sue mani, ricco, elegante, con un fascino ruvido e occhi che sembravano leggermi dentro, aveva fatto tutta quella strada per me. Per portarmi in un luogo che prometteva di essere il palcoscenico di una notte indimenticabile: il Palace Hotel, un gioiello di lusso nel cuore di Milano, con un terrazzo privato che si affacciava sullo skyline scintillante della città.L’auto di Pino, una Maserati nera che profumava di cuoio e tabacco, si fermò davanti all’ingresso dell’hotel. L’aria di ottobre era fresca, ma il mio corpo bruciava sotto il vestito di seta nera che avevo scelto: corto, aderente, con un taglio che lasciava intravedere il pizzo del tanga e il bordo delle calze autoreggenti. I tacchi a spillo clicchettavano sul marmo dell’atrio, e il mio rossetto scarlatto catturava le luci dei lampadari di cristallo. Pino mi prese per mano, il suo tocco fermo, la pelle ruvida che tradiva anni di lavoro e determinazione. “Sei pronta, piccola troia?” sussurrò, la voce roca, un accento toscano che rendeva ogni parola un invito. Annuii, il cuore che martellava, il mio consenso chiaro nel sorriso che gli rivolsi.L’appartamento al quarto piano era un sogno di opulenza e ombre. Le pareti erano rivestite di seta grigio scuro, con specchi dorati che riflettevano la luce tremula di candele profumate al sandalo, il loro aroma che si mescolava al profumo di cuoio dei divani e al sentore metallico della città che entrava dal terrazzo aperto. Tende di velluto nero incorniciavano le vetrate, e un giradischi in un angolo suonava un jazz lento, le note che si intrecciavano al rumore lontano dei clacson e al fischio del vento. Al centro della stanza, un letto king-size con lenzuola di seta nera, e accanto, un tavolo di cristallo con un paio di manette di pelle decorate con borchie d’argento, un dettaglio che fece accelerare il mio respiro. Il terrazzo, illuminato da luci viola al neon, si apriva su una vista mozzafiato: le guglie del Duomo in lontananza, le luci di Milano che pulsavano come un cuore vivo.Non appena entrammo, Pino mi spinse contro il tavolo, le sue mani che sollevavano il vestito, il pizzo del tanga che scivolava sotto le sue dita. “Voglio scoparti come la troia che sei,” ringhiò, e io gemetti, il corpo già pronto, il desiderio che mi faceva tremare. Ma prima che potesse andare oltre, il telefono della stanza squillò, un suono acuto che spezzò l’aria. Pino rispose, la voce che si ammorbidiva mentre parlava. “Stefano, sei arrivato? Scendo subito.” Mi guardò, un sorrisetto complice. “Il mio amico, il padrone di questo posto. Torno tra un attimo.”
Rimasi sola, il cuore che batteva all’impazzata, il profumo di sandalo e del mio stesso desiderio che mi avvolgeva. Mi avvicinai al terrazzo, l’aria fresca che accarezzava la mia pelle, le luci viola che tingevano la mia parrucca bionda di riflessi irreali. Quando Pino tornò, non era solo. Con lui c’era Stefano, il proprietario dell’hotel, 55 anni, un fisico scolpito che tradiva ore di palestra, i capelli brizzolati tagliati corti, un sorriso che era allo stesso tempo gentile e predatorio. Indossava un completo nero impeccabile, ma la camicia slacciata lasciava intravedere un torace muscoloso, un tatuaggio di un’aquila sul pettorale sinistro. Il suo odore, una miscela di colonia legnosa e sudore, mi colpì come un’onda.“Christine,” disse Pino, la voce carica di malizia, “Stefano è un caro amico. Abbiamo fatto affari insieme anni fa, progetti che ci hanno legato. E stasera vuole unirsi al divertimento.” Mi mostrò una foto sul suo telefono, un’immagine di me al Nautilus, il locale dove ci eravamo incontrati la prima volta, il mio corpo avvolto in un vestito che non lasciava nulla all’immaginazione. “Gli ho detto che sei una brava troia, ubbidiente. Che fai tutto quello che ti chiedo.” Stefano rise, il suo cazzo già duro sotto i pantaloni, evidente anche nella penombra. “E ho una proposta,” aggiunse, la voce bassa, quasi un sussurro. “Il mio socio, Renato, è qui. Che ne dici di far divertire anche lui?”Il mio respiro si fece corto, ma non di paura. Era eccitazione pura, il brivido di essere desiderata, di essere il centro di un gioco che avevo sempre sognato. “Portalo,” dissi, la voce roca, un sorriso che era un invito. Stefano fece un cenno, e Renato entrò: un uomo di 50 anni, meno palestrato di Stefano ma con un fascino ruvido, capelli neri striati di grigio, un odore di tabacco e cuoio che mi fece girare la testa. I suoi occhi scuri mi squadrarono, e io mi sentii accendere sotto quello sguardo.
Pino mi guidò verso il tavolo di cristallo, le manette che si chiudevano attorno ai miei polsi con un clic che echeggiò nella stanza, il cuoio morbido che mi accarezzava la pelle. “Sei pronta a essere la nostra troia?” chiese, e io annuii, il corpo che fremeva. Stefano si avvicinò per primo, le sue mani che sollevavano la minigonna, il tanga che scivolava via, il profumo del mio desiderio che si mescolava al sandalo. La sua lingua esplorò il mio culo, il sapore della mia pelle che lo faceva gemere, mentre io succhiavo il cazzo di Pino, il sapore salato e robusto, come vino toscano, che mi riempiva la bocca. “Puttana,” ringhiò Stefano, e io gemetti, eccitata, il corpo che si tendeva verso di lui. Mi penetrò nel culo con colpi decisi, ogni affondo un’esplosione di piacere, il tavolo che scricchiolava sotto il mio peso, le note del jazz che si mescolavano ai miei gemiti. Il suo orgasmo esplose dentro di me, caldo e liquido, spingendomi a un climax che mi fece urlare, il corpo che tremava sotto le luci viola.Renato prese il suo posto, il suo cazzo più spesso, l’odore di tabacco che mi inebriava. Succhiavo Stefano ora, il sapore muschiato e salato che mi travolgeva, mentre Renato mi scopava nel culo, i suoi colpi ritmici che mi portavano a un altro orgasmo, il calore della sua sborra che mi riempiva. “Troia,” mormorò, e io sorrisi, il piacere amplificato dalla parola. Pino, osservando, il cazzo duro come acciaio, si unì di nuovo, prendendomi in bocca mentre Renato continuava, il ritmo che si sincronizzava con il crepitio del giradischi. Un altro climax mi travolse, il mio grido che si mescolava al vento fuori.
Stanca ma raggiante, mi slegarono dalle manette, il corpo lucido di sudore, il trucco che colava come un dipinto astratto. Pino mi si avvicinò, il telefono in mano, mostrando una foto di me sul tavolo, il mio corpo aperto e vibrante. “Sei la mia troia,” disse, un sorriso complice, un gioco che sapevamo entrambi essere un atto d’amore. Risi, assecondandolo, e lo presi in bocca, succhiandolo con passione, il sapore salato e familiare che mi faceva gemere. Ingoiai ogni goccia della sua sborra, suggellando il nostro patto, un gesto che celebrava il mio desiderio di essere ciò che volevo sotto il suo controllo.Mentre ci sdraiavamo sul divano di velluto, Pino e Stefano mi guardarono, i loro occhi pieni di ammirazione. “Christine,” disse Pino, la voce morbida ora, “vieni con noi a Dubai. Una settimana, sarai la nostra troia a disposizione. Cinquemila euro subito, tutto pagato, e vestiti, intimi, tacchi, gioielli che ti regaleremo.” Stefano annuì, il suo sorriso un invito. “Accetto,” risposi, il cuore che batteva di eccitazione, pronta per la prossima avventura.

#Christine84
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