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Essere Sara: L'inizio


di Membro VIP di Annunci69.it Efabilandia
14.07.2025    |    544    |    0 8.7
"Lo presi in bocca, succhiandolo con avidità, sentendo i suoi gemiti che si spezzavano nell’aria, il suo respiro che si faceva più corto..."
La notte si stendeva su Roma come un lenzuolo di seta nera, morbida e invitante, con le luci dei lampioni che tremolavano come stelle cadute sulla città. Era una sera di primavera, più di dieci anni fa, quando ho deciso di trasformarmi, di lasciare che Sara prendesse forma per la prima volta. Avevo trent’anni, un corpo scolpito da ore di palestra, con curve che già suggerivano una femminilità che volevo esaltare, portare alla luce. Quella sera, la voglia di esplorare, di gustarmi il mondo da una nuova prospettiva, bruciava dentro di me come una fiamma. Non era solo desiderio: era una fame, una curiosità che mi spingeva a scoprire chi fossi davvero, a toccare la mia essenza più profonda. Mi guardai allo specchio del mio piccolo appartamento a Trastevere. La parrucca bionda, lunga e leggermente ondulata, scivolava sulle spalle come un raggio di sole. Non ero ancora esperta, il trucco era semplice: un velo di rossetto rosso, un po’ di mascara per allungare le ciglia, un’ombra di blush che scaldava le guance. Le calze nere, velate, accarezzavano le mie gambe, dando loro una lucentezza che mi faceva sentire potente, come se ogni passo potesse spezzare cuori. Il perizoma nero, minuscolo, aderiva alla mia pelle come una promessa sussurrata. Sopra, una pelliccia sintetica, unisex, che cadeva morbida sulle spalle, e un paio di stivaletti bassi, anch’essi unisex, perché non avevo ancora il coraggio di osare con tacchi vertiginosi. Mi sentivo bella, ma ancora fragile, come una farfalla che sta imparando a spiegare le ali. L’aria della notte romana era densa di profumi: il gelsomino che si arrampicava sui muri di pietra, il fumo delle sigarette che aleggiava fuori dai bar, l’odore di pizza appena sfornata che si mescolava al sentore di asfalto bagnato dalla pioggia leggera di quel pomeriggio. Camminavo per le strade di Testaccio, il cuore pulsante della movida, con il battito del mio cuore che scandiva ogni passo. La musica usciva dai locali, un misto di bassi elettronici e risate, e io mi sentivo parte di quel ritmo, come se la città stessa mi stesse invitando a danzare. Fu allora che lo incontrai. Si chiamava Marco, un uomo sulla quarantina, con un sorriso sfrontato e occhi che sembravano vedere attraverso di me. Non era il classico maschio eterosessuale che avevo immaginato di sedurre quella sera, ma aveva un’energia che mi attirava, un misto di sicurezza e mistero. Mi avvicinai a lui fuori da un bar, con il bicchiere di vino bianco che tenevo in mano che rifletteva le luci al neon. “Ciao,” dissi, con una voce che cercava di essere morbida, femminile, ma che tradiva ancora un po’ di incertezza. Lui mi guardò, squadrandomi dalla testa ai piedi, e il suo sorriso si allargò. “Ciao, bellezza. Come ti chiami?” Non ci pensai due volte. “Sara,” risposi, e in quel momento Sara nacque davvero. Non era solo un nome: era un’identità, una chiave che apriva una porta verso un mondo nuovo. Marco non era lì per portarmi a letto, come avevo inizialmente sperato. Ma quello che mi offrì fu qualcosa di più grande, più selvaggio. “Ti va di fare un giro?” mi chiese, accendendo una sigaretta. Il fumo gli usciva dalle labbra in spirali che si dissolvevano nell’aria. Accettai, e quella notte diventò l’inizio di tutto.
Le settimane successive furono un turbine di emozioni, colori, sapori. Marco divenne il mio complice, il mio guida in un mondo di trasgressioni che non avrei mai immaginato. Era gay, dichiaratamente e orgogliosamente, e aveva un talento naturale per attirare uomini. Camminava per le strade di Roma con una sicurezza che era quasi magnetica, e io, al suo fianco, imparavo a muovermi come Sara, a lasciare che il mio corpo parlasse, che i miei occhi promettessero. Insieme, eravamo una coppia esplosiva: lui, il cacciatore, e io, la musa che trasformava ogni serata in un gioco di seduzione. Una di quelle notti, ricordo, eravamo in un locale a San Lorenzo. L’aria era densa di sudore, profumi costosi e il dolce aroma di cocktail alla frutta. La musica era alta, un ritmo techno che faceva vibrare il pavimento sotto i miei piedi. Indossavo un vestito corto, nero, che avevo comprato in un negozio vintage, e questa volta avevo osato con un trucco più deciso: eyeliner che sottolineava i miei occhi verdi, rossetto scarlatto che sembrava gridare al mondo la mia presenza. Le calze a rete mi stringevano le cosce, e i tacchi, finalmente, mi davano quell’altezza che mi faceva sentire invincibile. Marco mi prese per mano e mi trascinò in pista. “Stasera si caccia,” mi sussurrò all’orecchio, il suo respiro caldo contro la mia pelle. Ballammo, i nostri corpi che si muovevano all’unisono, e sentivo gli occhi degli uomini su di noi, su di me. C’era qualcosa di inebriante in quegli sguardi, nel sapere che potevo essere desiderata, che potevo giocare con il loro desiderio. Uno di loro, un ragazzo sui trent’anni con i capelli castani disordinati e un sorriso timido, si avvicinò. “Posso offrirti da bere?” chiese, con una voce che tradiva un misto di curiosità e nervosismo. Accettai, e mentre Marco si allontanava con un occhiolino complice, io e il ragazzo – si chiamava Luca – ci sedemmo in un angolo del locale. Parlava con entusiasmo, ma i suoi occhi continuavano a scivolare sul mio corpo, sulle mie gambe accavallate, sul modo in cui il vestito si tendeva sul mio petto. Mi sentivo potente, come se ogni suo sguardo fosse un trofeo. La conversazione scivolò presto verso qualcosa di più intimo, e quando mi chiese se volevo andare da lui, non esitai.
Il suo appartamento era piccolo, disordinato, con il profumo di caffè bruciato che aleggiava nell’aria. Le luci erano basse, e c’era una playlist di jazz che suonava in sottofondo, con il sassofono che sembrava accarezzare ogni nota. Luca mi offrì un bicchiere di vino rosso, e il sapore corposo, leggermente tannico, mi scaldò la gola. Ci sedemmo sul divano, e il calore del suo corpo vicino al mio era elettrico. Mi guardava come se volesse divorarmi, ma c’era anche una dolcezza nei suoi occhi, una vulnerabilità che mi fece desiderare di prendermi cura di lui, di guidarlo in quel momento. “Sai” disse, con una voce bassa, “non ho mai… con una ragazza come te.”
La parola “ragazza” mi fece sorridere, un fremito di eccitazione che mi scaldava il petto. Mi avvicinai a Luca, posando una mano sulla sua gamba, sentendo i suoi muscoli tendersi sotto il mio tocco, come se il mio gesto avesse acceso una scintilla. “Non preoccuparti,” sussurrai, la voce morbida ma carica di promessa, “lascia fare a me.” Lo baciai, e le sue labbra, calde e leggermente dolci di vino rosso, si aprirono alle mie con una fame trattenuta. Il sapore mi avvolse, un mix di tannini e desiderio che mi fece girare la testa. Le sue mani scivolarono sotto la pelliccia sintetica che avevo lasciato aperta, accarezzando la mia schiena nuda, e ogni tocco era una carezza elettrica che mi faceva rabbrividire. Sentivo il suo respiro accelerare, il battito del suo cuore che pulsava contro il mio petto, un ritmo che si intrecciava con il mio. Mi alzai, prendendolo per mano, e lo guidai verso la sua camera da letto. La luce della luna filtrava attraverso le tende sottili, dipingendo la stanza di un blu argentato che trasformava ogni cosa in un sogno febbrile. Mi spogliai lentamente, lasciando che il vestito nero scivolasse a terra come una cascata di seta, il fruscio del tessuto che si mescolava al jazz soffuso che suonava in sottofondo. Rimasi con le calze a rete, che stringevano le mie cosce come un abbraccio, e il perizoma nero, un invito che sapevo Luca non avrebbe potuto ignorare. Lui si avvicinò, il suo respiro caldo contro il mio collo, e le sue mani esplorarono il mio corpo con una curiosità che mi faceva tremare. Ogni tocco era una scoperta, ogni bacio un’esplosione di sensazioni. L’odore della sua pelle, un misto di sapone e sudore muschiato, mi inebriava, e quando gli baciai il collo, il sapore salato della sua carne mi fece venir voglia di divorarlo.Ci sdraiammo sul letto, e il mondo fuori svanì. C’era solo il suono dei nostri respiri, il fruscio delle lenzuola, il ritmo dei nostri corpi che si cercavano. Ma prima di lasciarmi andare completamente, volevo assaporarlo, volevo sentirlo mio. Mi chinai su di lui, le mie labbra che sfioravano il suo petto, scendendo piano, seguendo la linea dei suoi muscoli. Quando trovai il suo cazzo, duro e pulsante sotto i jeans, il desiderio mi travolse come un’onda. Lo liberai lentamente, il tessuto che scivolava via rivelando la sua carne calda, tesa, pronta. Lo accarezzai con la lingua, assaporando il gusto salato, la consistenza vellutata che mi riempiva la bocca. Lo leccai piano, esplorando ogni centimetro, dal glande liscio alla base, lasciando che il suo sapore mi consumasse. Lo presi in bocca, succhiandolo con avidità, sentendo i suoi gemiti che si spezzavano nell’aria, il suo respiro che si faceva più corto. Ogni movimento della mia lingua era una danza, un gioco di potere e piacere. Lo volevo, lo desideravo con ogni fibra del mio essere, e il modo in cui il suo cazzo rispondeva al mio tocco mi faceva sentire potente, desiderata, viva. Ma il desiderio non si fermava lì. Lo volevo dentro di me, volevo sentirlo spingere, riempirmi. Mi staccai da lui, i nostri occhi che si incontravano in un silenzioso accordo. “Prendimi,” sussurrai, la voce roca di desiderio. Luca mi guardò, i suoi occhi pieni di una fame che rispecchiava la mia. Mi sdraiai sul letto, lasciando che mi alzasse le gambe, un gesto che mi fece sentire vulnerabile e femminile, come una donna che si offre completamente. Le sue mani, forti ma gentili, mi sollevarono le cosce, posizionandole sulle sue spalle, e il mio cuore batteva così forte che pensavo potesse esplodere. Sentii il freddo del gel che applicava con cura, il suo tocco che scivolava sul mio culo, preparandomi. Quando il suo cazzo, unto e caldo, premette contro di me, un brivido mi attraversò. La pressione era intensa, un misto di dolore e piacere che mi fece gemere. Poi, con una spinta lenta ma decisa, mi penetrò, e il mondo si dissolse in un’esplosione di sensazioni. Sentivo ogni centimetro di lui, il suo cazzo che mi riempiva, caldo, pulsante, vivo. Ogni spinta era un dialogo, un ritmo che si intrecciava con i miei gemiti, con il suono della nostra pelle che si incontrava. L’odore del nostro desiderio saturava l’aria, un mix di sudore, gel e pura lussuria. Luca era dolce ma famelico, i suoi movimenti che si facevano più profondi, più urgenti. Mi guardava negli occhi, e in quello sguardo c’era tutto: desiderio, vulnerabilità, un bisogno crudo di connessione. “Sara,” mormorò, il mio nome sulle sue labbra come una preghiera, e ogni volta che lo diceva, mi sentivo più reale, più me stessa. Il ritmo aumentò, le sue spinte che si facevano più rapide, più intense. Sentivo il suo cazzo scivolare dentro di me, ogni colpo che accendeva un fuoco più grande, un piacere che mi consumava. I miei gemiti si mescolavano ai suoi, il jazz in sottofondo che si trasformava in una colonna sonora per la nostra passione. Quando Luca raggiunse l’apice, lo sentii irrigidirsi, il suo respiro che si spezzava in un gemito profondo. Il calore del suo orgasmo esplose dentro di me, riempiendomi il culo, un’onda di piacere che mi fece tremare. Era come se il suo desiderio si fosse riversato in me, un dono che mi faceva sentire completa, potente. Ma Luca non si fermò. Con una dolcezza che mi scioglieva, le sue mani scivolarono sul mio corpo, trovando le mie palle, accarezzandole con una delicatezza che mi fece rabbrividire. Le sue dita, ancora umide di gel, si mossero lente, massaggiando con una maestria che sembrava conoscere ogni mio punto debole. Poi, con un tocco deciso ma gentile, avvolse il mio cazzo, accarezzandolo lungo tutta la lunghezza. Ogni movimento era un’esplosione di piacere, un crescendo che mi portava al confine. Sentivo il calore crescere, il mio corpo che si tendeva verso l’estasi. Quando esplosi, fu come un fulmine, il mio orgasmo che mi scuoteva, il mio cazzo che pulsava nelle sue mani, liberando tutto il mio desiderio in un gemito che riempì la stanza. Con un sorriso complice, Luca mi attirò a sé, guidandomi in un 69 che era puro abbandono. Le nostre bocche si trovarono, affamate, desiderose di gustare l’uno il sapore dell’altro. Le mie labbra avvolsero di nuovo il suo cazzo, ancora caldo, ancora pulsante, il sapore del suo orgasmo che si mescolava al mio. Lui, nello stesso momento, prese il mio in bocca, la sua lingua che danzava con una dolcezza che mi faceva tremare. Ogni leccata, ogni succhiata, era un’esplosione di piacere, i nostri sapori che si intrecciavano, salati, muschiati, vivi. Sentivo il suo respiro caldo contro di me, i suoi gemiti che vibravano sulla mia pelle, e il mio cuore batteva all’unisono con il suo. Era un atto di intimità totale, un momento in cui non c’era più distinzione tra noi, solo piacere, solo connessione. Quando ci separammo, restammo sdraiati, i nostri corpi intrecciati, il suo braccio intorno alla mia vita. La musica jazz continuava a suonare, il sassofono che accarezzava l’aria, e il profumo della notte romana entrava dalla finestra socchiusa, portando con sé l’odore di gelsomino e asfalto umido. Mi sentivo viva, potente, come se ogni tocco, ogni sapore, ogni suono di quella notte avesse scolpito Sara nella mia anima. Non era più solo un nome: era me, in ogni fibra del mio essere, e in quel momento, con Luca accanto a me, sapevo di aver trovato una parte di me che non avrei mai lasciato andare.
Quella notte con Luca fu solo l’inizio. Con Marco al mio fianco, le serate si susseguivano, ciascuna più audace della precedente. Imparai a truccarmi meglio, a scegliere abiti che esaltavano le mie curve, a camminare sui tacchi con la grazia di una pantera. Ospitavo uomini nel mio appartamento, trasformandolo in un tempio di piacere. Ogni incontro era una tela su cui dipingere emozioni, con i colori dei loro sguardi, i sapori dei loro corpi, i suoni dei loro desideri. Essere Sara era libertà. Era il profumo del gelsomino nella notte, il sapore del vino sulle labbra di uno sconosciuto, il ritmo della musica che guidava i nostri corpi. Era il calore di una mano che cercava la mia, il suono di un respiro che si spezzava nel piacere. Era Roma, con le sue strade tortuose e le sue promesse sussurrate. Era me, finalmente me.

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