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YOLANDE (di Ignoto) - Lettera a Charmian


di cuckold211
18.08.2017    |    5.155    |    2 9.5
"Trasalii, colma di apprensione, tuttavia osservai con piacere quel bel giovane, il suo sguardo vivido, gli occhi sinceri e azzurri..."
PREFAZIONE

Quello che leggerete non è il racconto di una mia storia, perché esse, almeno quelle più intriganti, sono finite.
Però, scorrendo fra i tanti autori del sito, mi sono imbattuto in "LadyCharme" e, dopo aver centellinato e metabolizzato tutto ciò che di lei c'era da leggere (profilo - feedback - racconti), ho commentato il suo primo scritto dal titolo "Ma quanto sei puttana"; suggerisco di leggere quel commento a corredo e integrazione di quanto andrò a dire.
L'idea esternata da Lady Charme, circa la messa a disposizione di una location, dove potersi abbandonare a certe licenziosità, mi ha riportato alla mente questo EPISTOLARIO, di autore ignoto, dal titolo "Yolande", facente parte della narrativa libertina dell'800 francese.
Trovo che le lettere contenute in quel manoscritto, siano di un erotismo raffinato, che trasforma la lubricità delle storie in un qualcosa di idilliaco, di aulico.
Quella che segue è la prima lettera che, adeguatamente ritoccata, propongo ai lettori del sito.
Va da sé che, qualora lo scritto non dovesse incontrare il placet della platea di lettori, l'esperimento si fermerà qui.
BUONA LETTURA.

%%%%%%%%%%%%%%

Dalla Regina Yolande alla Baronessa Charmian


Mia carissima,
ciò che ho da confidarti mi fa arrossire.
Ricordi la camera che dividevamo, un tempo, in convento e le delizie che ci scambiavamo? Forse che, a quel pensiero, non arrossisci anche tu?
Era una perfetta giornata d'estate... devi immaginarla. Una di quelle giornate in cui l'azzurro cupo del cielo si rifletteva nelle limpide ed immobili acque del laghetto, circondato da piante, che si trovava nei giardini privati, in cui amavo passeggiare.
Qui, un pomeriggio, mi addentrai, lontana dalla vista di ogni cortigiano, e fui presa dall'amenità del luogo: l'aria pura e fresca, il cinguettare degli uccelli.
Provai il desiderio di fare un bagno.
Mi spogliai ed esposi il mio corpo, ora giunonico, allo sguardo ammiccante del sole.
Completamente nuda, m'immersi nella limpida pozza d'acqua.
Mi sentii subito rinfrancata e felice della mia nudità; osservai la mia immagine riflessa nelle acque immobili; ammirai la pienezza delle mie cosce; i globi perfetti dei miei seni opulenti. Tu che ricordi la solidità di quei due carnosi tesori che adornano il mio petto, e i loro eccitanti capezzoli scarlatti, immaginerai come, con gli anni, siano divenuti più colmi.
Spinta dalla curiosità, perfettamente a mio agio in quell'oasi naturale, allargai le cosce onde poter osservare, nello specchio dello stagno, l'immagine della mia vulva: l'ostentazione dei miei fascini mi provocava piacere.
La rivelazione di quei monticelli bianchi e ricolmi, che si stagliavano sul mio ventre per ripiegare nelle opulenti colline delle natiche, letteralmente mi affascinarono.
Mi accosciai, lieta di poter osservare l'ampia superficie di quella parte del mio corpo, profondamente incastonata nei recessi del mio scrigno d'amore: il dolce e corrugato fiore che fu sempre tua grande gioia contemplare, scostando i delicati riccioli che adornano questa mia segreta bellezza.
Mi sentii parte della natura e ad essa rilasciai il fiotto dorato che promana e scorre dai nostri recessi, fra le cosce; sorrisi mentre il getto caldo, scendeva nelle acque dello stagno e mi sembrò conseguente assumere la posizione più conveniente, mentre un sottile brivido mi percorreva la schiena.
Separai le guance della mia groppa ricurva, liberando l'intestino, e ciò che ne scaturì cadde nell'acqua, che lo accolse quasi come un abbraccio.
Ero felice di aver potuto assistere a quello spettacolo, che aveva qualcosa di regale, perché tale è tutto ciò che appartiene alla natura.
Nel contempo, però, lo trovavo molto femmineo... perché di tutte le nostre bellezze, non è forse, anche per noi stesse, la più incantevole quella che formano natiche opulente e deliziosamente ricurve?
Un sordo rumore di passi disturbò il mio solitario idillio.
Impaurita, e con le guance in fiamme, mi ritirai nel fitto fogliame della riva.
Era Erasmo, un addetto all'ambasciata di corte. Un adone timido, per nulla attratto dagli ostentati fascini delle dame di corte.
Trasalii, colma di apprensione, tuttavia osservai con piacere quel bel giovane, il suo sguardo vivido, gli occhi sinceri e azzurri.
Egli si avvicinava ai miei indumenti abbandonati. Lo guardai mentre si chinava ad osservare gli intimi e candidi indumenti.
Avrebbe, forse, pensato che qualche cortigiana si stava bagnando e si sarebbe ritirato? Cielo, no!
Mi sentii disfatta... ed arrossii con violenza, mentre egli osava palpare quegli intimi tesori, quella seta trasparente e quei leggeri pizzi che ornavano le mutande della sua regina.
Sì, Charmian, egli esaminava le mie mutande e fu conseguenziale che i suoi occhi cadessero sullo stemma reale impresso sulla gala di seta.
Dovevo credere a miei occhi? Egli abbracciò e baciò il mio intimo indumento, ancora tiepido del mio corpo e certamente intriso del suo profumo; le sue labbra lambivano i panni e l'intima zona che aderisce alla vulva.
I suoi occhi sembravano mandare fiamme e lo osservai mentre si strappava gli abiti di dosso.
Sapessi, Charmian, quali contrapposte emozioni mi assalirono: da un lato la vergogna, l'imbarazzo di non poter raggiungere i miei indumenti, senza essere vista nella mia più completa nudità; dall'altro i miei occhi contemplavano Erasmo nudo, le sue forme virili, la pelle candida, ma, sopra ogni cosa, i suoi attributi di maschio.
Non riuscivo a distogliere lo sguardo. Dinanzi a me, in tutta la sua perfezione, vi era la virile insegna della sua mascolinità eretta, vibrante e inquieta, per le forti emozioni ricevute e, sotto di essa, l'increspato scrigno contenente il liquido che ci rende madri; il tutto avvolto da un fitto cespuglio di ricci dorati.
Udii la sua voce mormorare "Mia regina... mia Dea", e tutti i miei sensi sembrarono esplodermi dentro: fui colta da un improvviso e violento turbamento; uscii dal nascondiglio vegetale e avanzai verso di lui con le braccia tese; sentii le sue braccia stringermi, sostenermi mentre mi portava verso le soffici zolle erbose che divennero il nostro giaciglio nuziale.
Giacqui come in preda ad un sogno, mentre egli fissava i miei seni turgidi ed opulenti e, più giù, fra le cosce disserrate ove palpitava la mia rossa bocca.
Egli si distese sul mio corpo; le sue labbra suggevano i miei capezzoli; gli sentivo mormorare "mia Regina, mia Yolande", mentre la sua dolce e tenera penetrazione mi mandava in deliquio.
Egli mi penetrò fin in fondo, con ciò risvegliando la mia sopita passione.
Le sue mani erano aggrappate con forza alle mie setose natiche; le sue instancabili labbra si spostavano continuamente dalle mie labbra ai capezzoli... lo accolsi con gioia, era dentro di me e spingeva in avanti, poi si ritraeva e di nuovo spingeva tutto in fondo, finché gemetti nell'estasi di una dolce agonia.
Inebriati dalla dolcezza del piacere, giacevamo ancora uniti; la lingua di lui era unita alla mia; i suoi occhi cercavano i miei, che sfuggivano per il senso di pudore.
"Ancora" udii la mia voce mormorare, e, per tre volte, il mio ventre accolse con gratitudine l'infusione maschile.
Una volta placati i sensi, riuscii a farmi promettere la sua più totale discrezione, che mai nulla fosse trapelato di quella nostra insana passione.
Poi, ancora in preda all'abbandono del nostro goduto piacere e, a suggello del promesso silenzio, gli offrii un seno sulla bocca.
Mentre succhiava il capezzolo, come un neonato quello della sua nutrice, le sue mani mi afferrarono le cosce, immergendosi tra la seta dei miei carnosi glutei.
Mi voltai e ripiegai il corpo per due motivi: il primo, per nascondere il mio volto ardente di rossore; il secondo, per rivelargli l'oggetto dei suoi desideri.
Ah, Charmian, non potrò mai dimenticare il mormorio della sua voce e le frasi dolci che pronunciava mentre esaminava i larghi emisferi di alabastro spalancati dinanzi ai suoi occhi; infine... la dolcissima penetrazione, il godimento senza fine profuso dalla sua verga immersa nelle mie carni; il suo caldo nettare, mentre mi invadeva le budella, costituiva prova del piacere elargito.
Si può forse dimenticare tutto questo?
YOLANDE




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