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Sviluppi imprevisti - Barcellona (1)


di crigio
18.12.2013    |    9.985    |    0 8.9
"Poi, mi cinge anche con l’altro braccio e prova a baciarmi..."
Terminata la vacanza a Roma, torniamo al nostro trantran quotidiano. Lunedì mattina rientro al lavoro e sono già oberato di pratiche arretrate.
Mentre sono chino sul computer, bussano alla porta della mia stanza.
“Avanti!”.
“Ehi, ciao! Disturbo?”.
“Ciao, Knut! No, entra! Ma che ci fai qui?”.
“Ero da queste parti… devo organizzare la sicurezza per un amico che ha un locale nei paraggi… e… allora… ho pensato di fare un salto a salutarti…”.
“Hai fatto bene!”.
“Bene… sì… ehm… ci prendiamo un caffè?”.
“Sì, volentieri!”. Prendo la giacca e usciamo. Andiamo nel bar di fronte e ci sediamo ad un tavolino. “Allora! Tutto a posto?”, gli chiedo.
“Sì, perché?”.
“Non so: ti vedo strano…”.
“No… è che… ecco… questo lavoro mi dà dei pensieri…”. Giocherella con le dita e poi, avvicinandosi a me, aggiunge: “No, non è vero niente! Non è vero che sono in città per un lavoro. Sono qui per te…!”.
“Per me? Che… intendi…?”. Mi ritraggo.
“L’altra sera, a Roma, mi hai messo paura… davvero…”. La sua voce sembra rotta dall’emozione. È una veste molto strana per quest’energumeno sbruffone ed irruente. “In quei pochi secondi in cui sei stato svenuto ho pensato a che cosa avrei fatto se ti fosse successo qualcosa… Per davvero, intendo… e… ecco… ho sentito come un vuoto dentro…”.
“Ma… che mi stai dicendo, Knut?”.
“Che… ecco… che… ehm… che mi piaci… sì, mi piaci… tanto…”.
“Beh, lo so. Se non ti piacessi, non ci divertiremmo tanto a scopare, insieme con Pino ed Enrico, no?”.
“Non capisci!”, continua, agitandosi un po’. “Io… ecco… io… ti amo…!”.
“No!”, rido nervoso. “Ma che dici? Ma va là!”. Mi afferra il braccio e lo stringe. “Ahi! Mi fai male così!”.
“Perché ridi di me? Ti ho appena detto che ti amo e tu… ridi…?”.
“No, scusa. Non rido di te. Rido perché non è possibile. Ci conosciamo da tanto tempo… non capisco… cosa è cambiato adesso?”.
“Non lo so”, mi risponde, allentando la stretta. “E come se fino a qualche giorno fa fossi addormentato e non capissi che cosa è veramente importante per me. Ma dopo quell’imprevisto, tutto è più chiaro! Sì!”.
“… e Pino?”.
“Pino è un caro ragazzo. Capirà…!”.
“Capirà che cosa?”.
“Che io voglio stare con te!”.
“Ma che dici? Che cosa ti fa credere che IO voglia stare con te?”.
“Non ti piaccio?”.
“Ah! Certo che mi piaci, ma non come intendi tu! Cazzo, sei un bonazzo pazzesco, ma… ecco… non offenderti… non ricambio il tuo sentimento, ecco…”.
“Beh… adesso… ma col tempo, magari…”.
“Quale tempo? Vuoi che lasci Enrico?”.
“Beh, certo! Non puoi stare con tutti e due, no?”.
“Certo che no! Ma, appunto, io voglio stare con lui!”.
“Non è vero!”, e mi stringe di nuovo il braccio, alzando la voce.
“SSSSSSSSHHHHHHHH! Non urlare! Sta calmo! E lasciami!”, ribatto, strattonandomi per liberarmi dalla sua morsa.
“Sono due notti che non dormo… sei nei miei pensieri… sempre…”, continua, lamentoso.
“Ascolta: adesso va’ a farti un giro, per rinfrescarti le idee. Pensa che io non posso ricambiarti, perché amo un’altra persona. Pensa a questo e capirai che quello che vuoi non è possibile!”.
Knut mi guarda attonito. Serra le labbra e poi, di scatto, si alza quasi buttando a terra la sedia ed esce dal bar come una furia.
“Knut…”, lo chiamo, con scarsa intenzione. Sospiro. Lascio i soldi dei caffè sul tavolino e torno al lavoro.
Più tardi, all’uscita dall’azienda, dall’altra parte della strada lui è ancora lì.
“Ti aspettavo…”.
“Ho visto… Allora: hai riflettuto?”.
“Sì… sì… Hai ragione: non è una cosa che si può fare così in fretta”.
“No, ascolta: non è una cosa che si può fare, punto!”.
“S… sì… Senti: ti do un passaggio?”.
Titubante, forse intenerito dalla sua reazione al mio rifiuto, acconsento. Per tutto il tragitto in macchina non scambiamo neanche una parola. Arrivati sotto casa mi fa: “Mi offri qualcosa da bere?”.
“Ehi, non credo che sia il caso che tu salga… Tra un po’ arriva Enrico. E poi, dopo quello che mi hai detto oggi… forse… non è opportuno che stiamo soli… Non credi?”.
“Dai, starò buono! Promesso!”.
“Uff! Ok!”, cedo. Saliamo su, dopo essersi servito un drink, si accomoda sul divano. Io vado a cambiarmi e poi in cucina a cucinare la cena. Nell’affettare le verdure mi distraggo. Passa un po’ di tempo; poi gli chiedo: “Ti fermi per cena?”, ma Knut non mi risponde. Mi asciugo le mani e faccio per andare nell’altra stanza. Appena mi volto, lui è lì, ad un centimetro da me, con un bicchiere pieno di whisky in una mano e la bottiglia quasi vuota nell’altra. È paonazzo.
“Ma sei ubriaco?”.
“N… no… ho solo… hic!... bevuto un goccetto… hic!... Sai: è buono questo whisky… hic! È molto buono!... Burp!...”, biascica. “Vuoi assaggiarlo? Dai, vieni qui! Assaggialo dalla mia bocca… hic!...”.
“No… Allontanati!... Ti faccio un caffè forte, così ti riprendi. Non puoi guidare in questo stato!”.
“Dove vai?”. Mi afferra per la vita. Appoggia male la bottiglia sulla penisola e quella dondola. Poi, mi cinge anche con l’altro braccio e prova a baciarmi.
“No, lasciami!”, protesto. Cerco di divincolarmi, ma lui forte. Una mano si insinua nei miei pantaloni e raggiunge il solco tra le mie natiche. Un dito mi sfiora il buco del culo. Sospiro.
“MMMMM!!! Lo vedi che ti piace?... hic!...”.
“No! NO! Lasciamiiiiii!... NOOOO!”. Alle sue spalle arriva lesto Enrico: lo strattona per una spalla e gli tira un pugno. Knut cade sul bancone. Un rivolo di sangue gli cola dall’angolo della bocca. Se lo asciuga col dorso della mano.
“Ehi, amico… hic!... Dai, facciamoci la troietta… Sai: è molto calda… Senti qua…”, e allunga verso di lui la mano che mi appena infilato tra le cosce. Enrico lo afferra per il bavero della camicia e, digrignando i denti, gli urla: “Non chiamarmi amico! Non è amico mio chi mi vuole fregare il ragazzo!”.
“Io?! Fregarti il ragazzo?! Ma che dici? Te lo stavo scaldando, per farcelo insieme al tuo ritorno, come abbiamo fatto tante altre volte… hic!...”.
“Sei un vigliacco!”, lo insulta il gigantone. “Vattene prima che faccia qualcosa di cui pentirmi!”, e alza il braccio per sferrargli un altro colpo.
“NO!”, lo fermo. “Non vedi che è ubriaco?”.
“E chi se ne fotte! Vattene via, stronzo!”, e lo spinge verso la porta. La apre, lo butta fuori e gliela richiude in faccia.
“Ma… e se prende la macchina e ha un incidente?”.
“Ti ho detto che non è affar mio! Vagli dietro, ce ci tieni tanto!”.
“Non fare il geloso, adesso! Sono seriamente preoccupato per lui!”, e corro a riaprire la porta, ma Knut non c’è già più. Rientro, mi affaccio alla finestra e lui è appena salito in macchina. Sgomma e sparisce oltre il fondo della strada. “Merda! Devo chiamare Pino! Devo dirgli in che condizioni è!”.
“Ah, sì! Visto che ci sei digli pure che c’ha provato con te!”.
Ha ragione! Pino mi chiederà perché è ubriaco… che cosa è successo… e che gli rispondo? Desisto. Metto giù il cellulare e sospiro. Enrico mi viene alle spalle e mi abbraccia forte.
“Scusami! Stai bene?”, mi chiede, preoccupato.
Mi volto e rispondo: “Sì, sto bene”. Ci baciamo.
“Allora: che si mangia?”, mi chiede come se nulla fosse successo.

Nel sonno sento un trillo. Mi sveglio. Il cellulare si illumina ad intervalli regolari. Lo prendo: il display dice “Pino”.
“Cazzo! Che sarà successo!”. Mentre rispondo, Enrico si sveglia anche lui e si gira.
“Ehi, ma che è?”.
“Pronto! Pino!... Sta’ calmo, dai!... Che cosa!... Ma no, non ci credo… Dai, non fare così…”.
“Passamelo! Ci parlo io!”, mi fa Enrico.
Con la mano sul microfono gli sussurro: “Dice che Knut lo ha mollato!”.
“Dammi qua!”, e afferra il cellulare.
“Amico, che succede?... Ascol… aspè, ascol… non fare così… Ascolta: arriviamo!”. Mette giù e inizia a vestirsi. “Devo andare da lui. Non lo lascio solo in un momento come questo!”.
È il mio Enrico: generoso, altruista, sempre presente. Mi avvicino a lui e lo abbraccio. “Ti amo, sai… Perché… perché sei così come sei…”.
Mi sorride: “Dai, vieni con me!”. Indosso la prima cosa che trovo. Usciamo, saliamo in macchina e ci dirigiamo verso casa di Pino. Lo troviamo in uno stato pietoso: in casa sembra che sia passato un tornado. Conoscendo la sua intemperanza posso immaginare che siano volati coltelli quando Knut gli ha detto che lo lasciava. Enrico si siede accanto a lui sul divano e lo stringe a sé.
“E’ un bastardo… sniff!... un bastardo!...”, piagnucola. “Ah, ma io lo so perché! C’è un altro, ne sono sicuro!”.
Enrico mi fissa. Senza farsi sentire da Pino, sibila: “Dobbiamo dirglielo!”. Faccio di no con la testa, ma non riesco a dissuaderlo.
“Amico, ascolta. Hai ragione: c’è qualcun altro”.
“E tu che ne sai? Non sarai mica tu?”.
“No… no… ma figurati!”.
“E allora chi?”, chiede isterico. Enrico alza lo sguardo verso di me e il biondino ne segue la traiettoria. “TU??!! BRUTTA TROIA!!!”, urla e si avventa contro di me.
“FERMO!”. Enrico riesce ad afferrarlo per la maglia prima che mi raggiunga. “Non è come pensi!”.
“Ah no? E com’è? Dimmelo un po’, puttana!”, mi offende, e i suoi occhi sprizzano ira.
“Dai, diglielo!”, mi esorta il gigantone.
“Ecco… Sai Roma? Durante l’ultima notte io e lui abbiamo scopato… Tu dormivi così profondamente e lui non è riuscito a svegliarti… C’ha provato, mi ha detto… e allora… beh… era ancora eccitatissimo per il culo di Andrea e non riusciva a calmarsi… E’ venuto a svegliarmi e siamo andati in salotto… e l’abbiamo fatto sul divano…”.
“L’hai sedotto, vacca! Me lo hai fregato!”, piange disperato.
“No, no, non è andata così. Ascoltami, ti prego. Durante la scopata sono svenuto e lui, mi ha detto, si è preoccupato… Pare che in quel frangente abbia capito quanto tenesse a me, e al mio risveglio era già diverso… più apprensivo… Poi, stamattina è venuto in azienda e si è dichiarato. Io gli ho detto che non era una cosa possibile: io amo Enrico!... Sembrava essersi convinto, ma all’uscita dal lavoro me lo sono ritrovato sul marciapiede… Mi ha dato un passaggio fino a casa. L’ho lasciato sul divano a guardare la tv e dopo una mezz’oretta era ubriaco. Si è scolato una bottiglia intera di whisky… Me lo sono trovato addosso che mi palpava dappertutto… Gli ho detto che non volevo, ma lui era forte… troppo forte…”, una lacrima mi solca la guancia. Tremo. “Cazzo!”, rifletto e concludo: “Se non fosse arrivato Enrico, probabilmente mi avrebbe violentato…!”.
Pino scoppia in un pianto inarrestabile e si tuffa tra le braccia di Enrico. Allungo una mano per accarezzarlo, ma lui mi caccia via. Enrico mi sussurra di pazientare un po’: ci pensa lui a mettere le cose a posto. Stringe il biondino per le spalle, lo scuote e gli fa: “Ascolta! Ho un’idea! Andiamo via! Quello è uno stronzo e non ti merita! Facciamo un viaggio, tutti e tre insieme… Barcellona! Che ne dite di Barcellona?”.
“Ma ti pare il momento?”, intervengo.
“Ma sì! Perché no? È il modo migliore per distrarsi! E lì ci divertiamo come pazzi, alla faccia di quel vigliacco!”.
Pino alza il capo e singhiozza: “O… o… ok… sniff!...”. Poi si volta verso di me, ricomincia a frignare e si getta sul mio petto. Scarmigliandogli i capelli lo bacio sulla fronte.
“Grazie!”, gli sussurro. “Grazie!”.
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